Quello che vi accingete a leggere, è un “editoriale” molto particolare
scritto dal mio vecchio amico Tommaso Consortini (conosciuto sul web come T.C.
the Punisher) all’indomani dell’evento in pay-per-view TNA Bound for Glory 2011,
show che ha avuto luogo a Philadelphia, Pennsylvania il 16 ottobre 2011.
Si tratta di un pezzo molto fuori dagli schemi, una sorta di editoriale
in narrativa che cerca di unire, con semplicità e con un po’ di fantasia, la
passione per il wrestling ad un filone poco o per niente presente sul wrestling
web.
Per quel che mi riguarda, si tratta dell’articolo più bello, suggestivo
ed emozionante che io abbia mai letto a proposito del wrestling.
16 ottobre 2011, Philadelphia, Liacouras Center: da qualche parte nel
backstage…
Sono arrivato presto stamani,
senza programmare niente o preoccuparmi di dove e quando andrò a pranzo: avevo
bisogno di venire qua il prima possibile, di respirare quest’aria, di godermi
questa atmosfera, di sentirmi addosso la tensione della grande serata, di
provare quel brivido unico che ti fa ribollire il sangue.
Restare in albergo fino alle 2
del pomeriggio sarebbe stata solo una tortura, mi sarei sentito un leone in
gabbia e la tensione mi sarebbe salita alle stelle ancora prima di arrivare qua…
A certe cose non ci si abitua
mai, nemmeno alla mia età.
Jennifer è stata comprensiva e
non ha fatto obiezioni quando mi hanno visto andare via così di buon ora: sa
quanto sia importante questo giorno per me e quanto ci tenga a renderlo
speciale, a fare in modo che tutto vada bene dopo quei maledetti giorni
trascorsi in un letto di ospedale con la schiena a pezzi nella speranza di
recuperare in tempo…
Lascio la mia borsa negli
spogliatoi ancora deserti e vado a passeggiare nei corridoi già invasi da un
esercito di tecnici delle luci, cameramen, membri dello staff e raccomandati di
lusso con un pass appuntato sul petto e rimediato chissà dove: stringo la mano
a una decina di sconosciuti e a una ventina di conoscenti (e pensare che ero
venuto prima per incrociare meno gente possibile…), qualcuno scherzosamente mi
chiede cosa ci faccia tra i piedi già a quest’ora, io abbozzo un sorriso poco
spontaneo, liquido tutti con frasi di circostanza e proseguo la mia camminata
solitaria cercando di dare il meno possibile nell’occhio.
Mi guardo intorno con un’aria
soddisfatta, mi godo ogni metro, mi interesso a qualsiasi cosa veda o senta e
mi stupisco di come certe volte nella vita ci si ritrovi a vedere con occhi
diversi ciò che ha sempre fatto parte della quotidianità, ad avere una
percezione diversa di tanti aspetti che le abitudini hanno reso, almeno in
apparenza, scontati: queste “riscoperte”, mi fanno stare bene e sentire in pace
con me stesso, è una sensazione gradevole che ho ricominciato a provare da un
po’ di tempo a questa parte e di cui non sembro averne mai abbastanza…
Quando la tua vita va in frantumi
e l’unica cosa che ti separa dall’oblio è la canna di pistola che un proiettile
sta per attraversare prima di raggiungere la tua tempia, ti rendi conto che non
ci sono più tante opzioni a
disposizione: o hai fortuna sfacciata di cambiare di colpo prospettiva oppure
hai chiuso per sempre. A me è stata concessa una seconda chance, non so nemmeno
spiegarmi il perché, so solo che la voglio sfruttare fino in fondo, senza
perdermi niente o rinunciare a tutto ciò a cui tengo, mi basta questo per essere
a posto con la coscienza e andare avanti a testa alta.
A un certo punto, tra un pensiero
e l’altro, mi ritrovo quasi senza volerlo sulla rampa di accesso all’arena di
fronte al gigantesco schermo ancora spento e resto senza fiato alla vista delle
tribune vuote e avvolte dalla penombra: soltanto il ring è illuminato da qualche
riflettore e, in quel silenzio surreale, mi sembra un altare al centro di una
cattedrale vuota che aspetta solo di essere “risvegliata” da un po’ di calore
umano, un grande focolare pieno di legna desideroso solo di una magica
scintilla…
Mi avvicino piano piano per non
disturbare con i miei passi la religiosa quiete che regna intorno a me e faccio
un giro intorno al quadrato fissando il tappeto pulitissimo: quattro lati
uguali, tre corde equidistanti, trenta
anni spesi lì in mezzo tra sudore, ematomi, sangue e fratture…
Tre gradoni d’acciaio per salire
sul tetto del mondo, tre passi per la gloria, tre passi nella leggenda.
Detta così suona bene, una
geometria perfetta, il centro di un universo, il confine invisibile tra ciò
sono e ciò che sono voluto diventare.
Fisso di nuovo il ring è di colpo
mi succede una cosa bizzarra, una di quelle cose che non racconti a nessuno
perché sei tu il primo a sapere che nella loro assurdità non hanno spiegazione:
per una frazione di secondo rivedo infatti Andrè appoggiato alla terza corda
che, con quel suo vocione, mi urla sorridendo: “piantala di rimuginare e porta
il tuo culo qua sopra!”…
Attimi del mio passato rimasti
sepolti nell’abisso delle memorie per decenni, istanti della mia vita che non
ricordavo nemmano di aver vissuto…
Mancavano solo due giorni a
Wrestlemania III quando Andrè mi disse quelle parole e ancora non riuscivo a
eseguire fluidamente il body slam che doveva concludere il nostro match, forse
per paura di far male a entrambi oppure più semplicemente perché era qualcosa
che andava contro le leggi della fisica e della logica: quel testardo però
insisteva affinché riprovassi per l’ennesima volta, non si voleva arrendere
all’evidenza, sarebbe andato avanti fino a notte fonda se fosse stato necessario.
“Una cosa del genere non se la
scorderanno tanto presto!” continuava a ripetermi.
Mai parole furono più vere e mai
nessuno più di Andrè riuscì a fare di me quello che sono oggi: meritavi
altrettanta gloria amico mio, credimi, e sarebbe stato bello averti qui a mio
fianco stasera…
I passi di alcuni tecnici sulla
rampa d’accesso mi svegliano brutalmente da quello strano “sogno”, il quadrato di fronte a me è di nuovo vuoto e
ho giusto il tempo di “togliermi qualcosa che mi è entrato nell’occhio” prima
di ritrovarmi con la mia beata solitudine irrimediabilmente violata. Taglio
corto con i convenevoli e giro i tacchi, caccio dentro la malinconia a calci
nel sedere e mi sforzo di non dare troppo peso a quanto mi è appena successo:
certe volte la mente gioca brutti scherzi e con l’età si diventa,
inevitabilmente, troppo sdolcinati.
L’arrivo dei miei colleghi
coincide con l’inizio del caos nei corridoi e nel momento in cui realizzo che
il conto alla rovescia è partito provo un’incontenibile emozione mista a
frenesia: telefono a Jennifer per comunicarle il mio stato d’animo e, mentre le
parlo, ripenso tutte le volte che è riuscita a trovare le parole giuste per
farmi superare i momenti difficili, a ridarmi fiducia in me stesso quando tutto
sembrava andare male e quella stronza sanguisuga della mia ex moglie mi faceva
sapere, tramite il suo avvocato pezzente, di desiderare la mia testa su un
piatto d’argento.
Telefonare a lei o ai miei figli
prima di un evento importante è un rituale a cui non rinuncerei per niente al
mondo, è il mio unico portafortuna, mi aiuta a tenermi agganciato alla realtà
anche dopo aver girato l’interruttore nel cervello: in questo lavoro devi essere
il primo a credere in cosa fai e in ciò che rappresenti ma se resti “fuori”
troppo a lungo inizi ad andare alla deriva, resti prigioniero di quel guscio
che ti hanno costruito intorno e alla fine ti perdi dentro te stesso…
Mentre mi sto dirigendo negli
spogliatoi incrocio quello schizzato di Ric ancora convalescente
dall’infortunio al braccio che sta facendo il filo a una bella ragazza delle
produzione che potrebbe essere sua figlia o magari sua nipote: maledetto
bastardo, quando lo capirai che qui ormai siamo solo due fottuti dinosauri? Gli
stringo la mano e mi fermo a parlare un po’ con lui, è su di giri come al
solito, sprizza energia da tutti i pori e non vede l’ora che lo show inizi: Ric
è un bravo ragazzo, uno della vecchia scuola, anche se in passato abbiamo avuto
le nostre divergenze e i nostri contrasti (perchè due galli nello stesso
pollaio “devono” per forza beccarsi…), adesso tra noi c’è davvero un bel
feeling, una sintonia quasi sorprendente. E poi tra vecchi dinosauri ci si
rispetta sempre.
La nostra conversazione dura
giusto un paio di minuti, poi ci salutiamo e ci diamo appuntamento a più tardi:
Ric potrebbe congedarsi da me in tanti modi però se ne esce con un inaspettato “cerca
di non farti male stasera, ho ancora voglia di dartele di santa ragione!” che
mi strappa il primo sorriso “vero” della giornata.
Raggiungo gli spogliatoi
facendomi largo attraverso un fiume di persone indaffaratissime, apro la borsa,
e inizio a cambiarmi: gesti ripetuti migliaia di volte, spesso con entusiasmo,
talvolta con rabbia, mai con amarezza. Osservo
le cicatrici sul ginocchio e sull’anca, ripenso a quanto problemi mi hanno
causato in tutti questi anni e mi sento orgoglioso di non avergliela mai data
vinta, neppure per un istante, anche contro il parere del chirurgo: mi infilo
pantaloncini, bandana e maglietta, mi assicuro che il tutore sul ginocchio sia
ben stretto e infine mi piego in avanti per legarmi gli stivali “sentendo” le vertebre basse che, nella loro
rigida flessione, mi mettono in guardia da eventuali azzardi sul ring con una
tagliente fitta di dolore.
Sono pronto.
Dio ti prego, proteggi la mia schiena e tutto il resto, fai che tutto
funzioni a dovere e che possa lasciare questo posto con le mie gambe…
Mi concedo un’ultima occhiata
allo specchio non senza un po’ di compiacimento e torno nel corridoio: ripeto
il percorso di prima e mi fermo dietro allo schermo gigante in attesa del mio
turno. Il tempo è trascorso molto in fretta oggi, forse troppo in fretta…
Mentre sto aspettando vengo
raggiunto da Steve e insieme ripassiamo i dettagli del nostro incontro in modo
da non lasciare niente al caso: entrambi sappiamo che non sono più in
condizioni ottimali e dobbiamo stare attenti ad ogni nostro singolo movimento
senza che il pubblico se ne accorga, sarà dura ma Steve è uno dei ragazzi più
in gamba con cui abbia mai lavorato, lo conosco da tantissimo tempo e mi fido
ciecamente di lui anche se il tono se nel tono della sua voce percepisco un
pizzico di preoccupazione…
La nostra chiacchierata viene
brutalmente interrotta da quell’idiota di Vince Russo che inizia a spararci
stronzate sul minutaggio del match e sul ritmo da tenere: per fortuna, prima
che apra bocca per mandarlo a quel paese, Steve lo liquida con un elegante
quanto gelido “grazie Vince, adesso sappiamo cosa fare quando sentiremo le
nostre musiche d’ingresso…” che lo fa rapidamente scomparire tra la folla nel
corridoio.
Finiamo finalmente la nostra
conversazione in santa pace e, un istante prima che Steve se ne vada lo afferro
per un braccio, lo guardo fisso negli occhi e gli dico che è tutto sotto
controllo: lui annuisce, mi squadra con uno sguardo altrettanto serio e si
allontana con un’espressione in apparenza più sollevata. Si è sempre più bravi
a convincere gli altri che noi stessi, c’è poco da fare.
Ho ancora un’ora abbondante prima
di andare in scena così inganno il tempo scherzando con i ragazzi più giovani
che aspettano insieme a me: in quelle facce tese ma prive di rughe mi sembra
quasi di rivedere Randy e i vecchi amici di un tempo, quando sul ring ci sentivamo
tutti delle divinità e ci cullavamo nell’illusione che le cose non sarebbero
mai cambiate, che niente ci avrebbe mai fermato…
Angeli con le ali spezzate che se
ne sono andati troppo presto solo perché hanno avuto meno fortuna di me…
Già, sono un vecchio fortunato…
Nel giro di pochi secondi sento
un nodo salirmi alla gola che inizia a soffocarmi senza tanti complimenti: ho
tenuto lontano questo pensiero dalla mia testa fin da quando mi sono svegliato
ma ora non riesco più a nascondermi che stasera potrebbe essere l’ultima volta
che faccio esplodere un’arena, che mi diverto a
sballottare il mio avversario, che mi strappo la maglietta e faccio ciò
in cui sono più bravo…
No, il wrestling mi ha dato
tanto, è la mia ragione di vita, non sono pronto a vedere la fine del sogno…
Un vero wrestler non si ritira
mai…
I pensieri si rincorrono a un
ritmo incessante, ho un attimo di esitazione a un paio di metri dalla rampa di
accesso, sarei quasi tentato di tornare indietro ma poi sento tutto l’Ocean
Center chiamarmi a gran voce, il mio nome risuona così forte da far tremare le
mura dell’edificio e come per magia…il nodo alla gola si scioglie, l’adrenalina
va alle stelle, i muscoli si flettono e il cuore comincia a battermi forte!
Dovrei provare tormento, dovrei
essere una massa di muscoli dolenti e incapaci di muoversi ma invece adesso ho
di nuovo trenta anni, anzi venti! Il richiamo della folla è un battesimo, sono
rinato!
Parte la mia musica! Le grida
diventano talmente alte che a stento riesco a sentire le note! Mi fanno segno
di entrare! FINALMENTE!!! I pyros, le braccia alzate, i miei colori, è tutto
perfetto, è tutto bellissimo, come sempre, più di sempre. E laggiù in fondo i
tre gradoni di acciaio mi aspettano per fare ancora una volta di me un dio…
Tre passi per la gloria, tre
passi nella leggenda…
“Piantala di rimuginare e porta il tuo culo su quel ring! Ci sono migliaia
di fans che sono venuti qui per vedere Hulk Hogan in azione!”
Tommaso “T.C. the
Punisher” Consortini
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